Il Napoli cade al Dall’Ara, nonostante una doppietta del Pipita che riapre la partita nel finale

Il Napoli cade al Dall’Ara, nonostante una doppietta del Pipita che riapre la partita nel finale

Un Napoli distratto e impreciso viene beffato da un Bologna schierato perfettamente dall’ex Donadoni. Gli azzurri ora si ritrovano al terzo posto

@Saverio Nappo

BOLOGNA – “Maurizio non ascoltarli! Accenditene una, e va avanti!” Già, se solo il centro sportivo di Castel Volturno avesse gli spalti, domattina, tutti dovrebbero correre a gridarglielo. In coro, a gesti, o semplicemente cercando il suo sguardo pensieroso, per parlargli senza aprire bocca. “Ti sorrido, Maurì: Vai! Pensaci tu!” E’ dicembre, un dicembre adorabilmente ancora troppo caldo per potersi lamentare del freddo, della pioggia e di tutte quelle cose di cui fondamentalmente non ti importa nulla. Percorri un bel rettilineo, lungo, perfettamente asfaltato, con segnali stradali chiari e ben visibili. Pero è dicembre, dovrebbe fare freddo. Invece fa caldo. E il caldo a dicembre significa solo una cosa: nebbia. Allora imbocchi l’uscita di Bologna, sull’appennino, e in pochi minuti sei già in pianura Padana. Non te ne sei neanche accorto. Perché c’è nebbia. Non ti sei neanche accorto che il fondo stradale non è più quello perfetto di sempre. C’è qualche buca da scansare, con dolcezza, con cura. Però c’è nebbia e non le vedi. Boom! Presa! Maledizione!

Sulla panchina del Bologna siede Roberto Donadoni, che alle falde del Vesuvio non ha lasciato affatto un buon ricordo. Donadoni è il classico uomo del nord, della provincia di Bergamo. Silenzioso, per niente caciarone. Sorride solo quando la santa Pasqua capita di Sabato. E’ un uomo eccessivamente serio, uno che il suo compito lo svolge con professionalità, fino al compimento effettivo. A Napoli hanno commesso un grave errore, in epoche velocemente dimenticate: dargli il ben servito. Sarà stato allora che se l’è legata al dito, senza dire neanche una parola. Il suo Bologna, cosi come il suo Parma lo scorso campionato, ha indossato la maschera odiosa del pagliaccio burlone che prima ti mette a tuo agio mostrandosi tanto tenero quanto assolutamente innocuo e poi ti fa lo sgambetto, quando meno te lo aspetti. Tu cadi. E tutti ridono, guardandoti al tappeto, incredulo. Ben fatto! Doppio Destro e Rossettini sono solo gli esecutori materiali dello scherzo architettato a meraviglia dal Donadoni di cui sopra. Il Bologna gioca una partita perfetta, sia mentalmente che fisicamente. O quasi. Il Napoli non se lo aspettava questo sgambetto. Non se l’aspettava questo pagliaccio burlone. Non si aspettava di ritrovarsi al tappeto con tutti che ridono di lui, a reti unificate. Il Napoli, da Reina a Higuain, passando per Insigne e Allan, non se l’aspettava. Maurizio Sarri si.

In settimana, più volte aveva manifestato preoccupazione. Era sembrato eccessivamente scrupoloso, forse troppo allarmato. Forse anche il professore esagera un po’. Godiamocela. Da quassù neanche si vede il Bologna, immischiato nella bagarre di chi deve salvarsi anche se siamo solo a dicembre. Da quassù non si vede neanche Donadoni. Ma nel calcio non puoi essere sicuro di niente. Un passaggio con poca forza, un pallone troppo lungo, un tiro poco angolato. “E’ cosa di niente”, direbbe Eduardo de Filippo. Meglio non ricordare il continuo della citazione. Sarri l’aveva già capito, guardano i suoi in allenamento. Ha fumato troppe sigarette e masticato troppe idee dal sapore di paure. Bologna-Napoli 3-2, stop, nonostante Higuain, quello che gli altri non possono permettersi. Fermi tutti.

Accendino. Fiamma. Sigaretta, ancora. I giocatori sono tutti seduti, silenziosi, sulle panche degli spogliatoi. Fuori, il Dall’Ara si svuota velocemente. Occhiali troppo sporchi per veder nitidamente. Non importa. La testa si muove lentamente, la sigaretta in bocca forma un semicerchio bianco e grigio nell’aria, come fosse una scia, o uno spartito. Troppo da dire, troppo da scrivere, meglio lasciarlo vuoto. Li guarda uno ad uno, i suoi giocatori. In silenzio. Un’ultima boccata alla Marlboro, a capo chino. Poi, di nuovo sguardo alto. “Torniamo a Napoli – avrà detto – è solo dicembre. Maggio è lontano. Anche se fa già caldo”.