Il caso della coperta troppo corta

Il caso della coperta troppo corta

Napoli ancora a secco di vittorie. La Lazio si chiude a riccio e ottiene un punto d’oro, approfittando dell’enorme difficoltà degli azzurri nel segnare. La manovra sarriana, priva del suo terminale di peso, non riesce a concretizzare l’enorme mole di gioco prodotto

@Saverio Nappo

NAPOLI- Frustrazione. È indubbiamente questa la parola che si addice al momento del Napoli. Una squadra vittima di una maledizione che non è piovuta dal cielo all’improvviso, tantomeno frutto di qualche bizzarro rito tribale che abbia evocato sfortuna e pessimismo. No. Il calcio è matematica abbellita con la fantasia, è vero. Ma è sempre matematica. La matematica è fatta di numeri. Quelli non sbagliano, i numeri non mentono. Cosa significa vendere il miglior terminale offensivo d’Europa? Cosa significa davvero? Allontanandoci dalla retorica legata alla pseudo analisi economica, il significato ultimo della cessione di un attaccante straripante, esplosivo, coinvolgente come Gonzalo Higuaìn risiede nei numeri. Sui numeri era necessario lavorare. Sempre sui numeri era fondamentale ragionare. Cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, sacrosanta verità, ma davvero è stato semplicemente cambiato l’ordine degli addendi? I numeri dicono di no. Dicono che manca qualcosa che impedisce al totale di manifestarsi, fedele alle aspettative legate al Teorema Sarriano.Dicono che la coperta è troppo corta. Lo è da tempo.

Gol numero 103 per Hamsik che raggiunge Vojak al quarto posto nella classifica all time
Gol N.103 per Hamsik che raggiunge Vojak al quarto posto nella classifica all time

Stesso calcio, stessa impostazione, stesse varianti di gioco. Centrocampo migliorato, difesa allungata. L’attacco? È stato curato il dislivello tecnico rispetto alla passata stagione? Assolutamente. Non credete a me, credete ai numeri, come faccio io quando qualcosa non mi torna. Alla dodicesima giornata, il Napoli è sesto, dietro al miracolo Atalanta, dietro alle sorprese Lazio e Milan, dietro alle scontate Roma e Juventus. Guardare solo la classifica è però un limite che ci autoimponiamo, che offusca la vista e confonde la mente, che ci rendende incapaci di capire i perché. Ironia della sorte, l’infortunio di Milik cade  esattamente nel mezzo di questo inizio di stagione, a cavallo di Atalanta-Napoli, ultima sua presenza in campionato prima della rottura al legamento crociato anteriore sinistro in nazionale, a Varsavia. La sconfitta contro la Dea è esattamente lo spartiacque tra gli incubi e i desideri di un Napoli che è, come da tradizione, la classica ciambella senza il buco, un’equazione che da un risultato preciso, ma solo fino ad un certo punto. Bergamo è lo spartiacque che divide i meriti e le colpe, le gioie e i dolori, un allenatore e un presidente.

Il gol del pareggio è di Keita. In estate stava per lasciare la Lazio
Il gol del pareggio è di Keita: l’attaccante, in estate, stava per lasciare la Lazio

Con Arek Milik in campo, in campionato, il Napoli ha realizzato 14 reti subendone 5, un possesso palla medio del 56%, e una precisione media dei passaggi effettuati dell’88%. Senza l’attaccante polacco, 7 sono i goal segnati e 8 quelli subiti, con un possesso palla medio dell’56% e una precisione media dei passaggi effettuati – invariata – del 56%. Osservo i numeri, cerco di capire. Provo a ragionare, a riavvolgere il nastro, per tornare al punto dove qualcosa è andato storto. Stesso possesso palla, stessa accuratezza dei passaggi, stesso gioco, modulo invariato. Col passare del tempo, sono stati inseriti nella turnazione dei titolari tutti i nuovi acquisti, eccetto Rog. No, l’errore non è nel modulo, tantomeno nel gioco. La tattica non fa una piega. Il fenomeno della coperta troppo corta si manifesta con un numero che è un numero la rappresentazione viscerale del danno e della beffa. È il 7. Solo sette goal fatti in sei partite – di campionato – che, rapportati ai numeri che descrivono come il gioco del Napoli sia assolutamente immutato e perfettamente in linea con le impostazioni fisiche e tattiche del suo mister, significano solo una cosa: una catastrofica frana,  legata alla semplice assenza del suo unico attaccante centrale di ruolo e all’assenza di un interprete che parli la sua stessa lingua calcistica.

Area coperta per 90 minuti e goal in contropiede: risultato giusto?
Area biancoceleste coperta per 90 minuti e goal in contropiede: risultato giusto?

Il crollo del numero di goal segnati, considerando lo stesso numero di partite, al di là e al di qua dello spartiacque di Bergamo, è, quindi, legato indiscutibilmente all’assenza di Milik. Ma questo è un dato risaputo, molto semplice, direte. Quello che ancora non è chiaro, quello che ancora non mi è chiaro è come si è potuti arrivare alla frana, senza che nessuno abbia pensato di curare gli argini del fiume, senza che nessuno abbia fermato il disboscamento della montagna, senza che nessuno abbia pensato di salvaguardare i numeri. I numeri, solo quelli. Sarebbe bastato guardare quelli, senza nemmeno dire una parola. Il Napoli, con la sua unica punta centrale in campo, lo scorso anno, ha realizzato la media di 2,10 goal a partita. Lo stesso Napoli, quest’anno, con lo stesso gioco, lo stesso allenatore, la stessa preparazione, con la sua unica punta centrale in campo ha realizzato la media di 2,33 goal a partita. Senza la sua unica punta, la media crolla lambire un goal a partita (1,16). È la matematica che rivela l’errore, il punto esatto dove qualcosa è andato storto. Eppure Maurizio Sarri lo aveva intuito, forse ancora prima della fuga del 9, nella notte di Madrid. La coperta corta alla fine fa più male che bene. Sarebbe stata solo questione di tempo. Sarebbe stata solo l’ennesima autodimostrazione della Legge dei Grandi Numeri. Impossibile aggrapparsi al caso e alla speranza di una stagione intera senza infortuni, senza intoppi, senza crolli. Come volevasi dimostrare, professore.

A discapito della crisi degli attaccanti, Hamsik sta giocando forse la sua miglior stagione
A discapito della crisi degli attaccanti, Hamsik sta giocando forse la sua miglior stagione

È come vivere in costante tensione sterile, un frustrante e ripetuto sbattere contro un muro che non si può valicare ne abbattere, per non rimanere scoperti. Come contro la Lazio, sabato sera al San Paolo, schierata dal suo tecnico con un 3-5-2 mazzarriano programmato semplicemente ad arginare l’area di rigore, affidandosi al mero contropiede come unica manovra d’attacco. Frustrazione e senso di impotenza che trascina gli uomini nel tunnel degli orrori, perchè la lucidità sfuma all’aumentare della tensione. Già, perché subire 8 reti facendone 7, in 6 partite, significa generare inquietudine, vuol dire cadere dal piedistallo dorato dal quale si guardava tutto dall’alto e ritrovarsi, all’improvviso, a rincorrere chi segna come ha sempre fatto, perché problemi – in panchina – non ne ha. Come si può credere nei miracoli? Come si può scaricare colpe di gestione così evidenti su un tecnico pur essendo smentiti dai numeri che sono tutti dalla sua parte? Come si può affidare un macigno così enorme all’imprevedibile corso degli eventi? Reina in tilt, Gabbiadini pure, Mertens implode, Insigne danza sui nervi. Tutto ciò mentre si prova a coprire le proprie negligenze con una coperta fatta di parole fuori luogo . Ma la coperta, come detto, è troppo corta. Come si può pensare di cadere in piedi, da così in alto, senza farsi male?