“Ingrata Patria…”, prosegue il viaggio alla scoperta di Liternum e di Scipione l’Africano

“Ingrata Patria…”, prosegue il viaggio alla scoperta di Liternum e di Scipione l’Africano

Seconda parte della rubrica Tesori di Giugliano dedicata all’antico insediamento militare nell’allora Campania Felix


GIUGLIANO – Prosegue il viaggio alla scoperta del sito archeologico giuglianese dopo la PRIMA PARTE. Liternum sembra quasi solo un ricordo nel Medioevo, come del resto tutti gli splendori e i fasti della Roma antica. Nel corso dell’ Ottocento vi sono varie campagne di scavo, ma è con gli anni ’30  grazie all’archeologo Villaricchese Giacomo Chianese, e  al più famoso Amedeo Maiuri  che viene riportato alla luce( tra il ’32 e il ’37) ciò che possiamo vedere attualmente: tutta la zona del Foro. Le cose non andranno come si spera; quelle” tenebre” che calarono con la venuta di Genserico ebbene si può dire rimarranno, e per certi versi, permangono. Difatti nei decenni successivi un’edificazione selvaggia e incontrollata circonderà la zona: negli anni ’60 si costruì finanche sugli scavi per ospitare il Villaggio Olimpico in occasione dei Giochi del Mediterraneo. Arriviamo al 2009 quando viene istituito il Parco Archeologico, poco dopo vengono portate alla luce le terme, ma dal 2014 per la mancanza di fondi esso non è più custodito e giace abbandonato a sé stesso.

E oggi? Cosa è rimasto a testimoniarci la grandezza di questo posto, se non quella colonna?  Sterpaglie, umidità. E la fama di quel grande generale, che vinse Annibale nel 202 a.C.? e che volle qui terminare i suoi giorni, nel 183 a.C.?  dov’è la sua villa, quella che Seneca ci ha descritto nelle lettere a Lucilio? “la Villa con massi quadrati, il muro che delimita il bosco, le torri edificate a difesa della casa su i due lati, la cisterna nascosta da fabbricati e piante, che potrebbe bastare al fabbisogno di un esercito, il bagno angusto e buio secondo le abitudini antiche […]” ( Seneca ep. 86 libro XI) forse dove ora sorge la cosiddetta “Torre Patria” che la tradizione vuole costruita coi materiali della villa del grande condottiero, e proprio sul luogo della sua tomba; di essa ci parla una figura di spicco del romanticismo francese, R.F. de Chateubriand: “salito con fatica in cima alla Torre, ho contemplato il mare sul quale si posò tante volte lo sguardo di Scipione […] pieno di rispetto premevo il suolo ove erano coperte le ossa di chi cercò la solitudine alla sua gloria” ( itinerario da Parigi a Gerusalemme, 1811). L’eco di quell’epitaffio , “ingrata Patria non avrai neanche le mie ossa” che la tradizione, e in particolare Valerio Massimo, ci tramanda sembra ancora risuonare in questi luoghi. E Scipione ci insegnò cosa significa amor di Patria e rispetto delle Istituzioni, anche quando queste sono, appunto, “ingrate”.

“Sono stato l’artefice della tua libertà, ne sarò anche la prova: me ne vado, se la mia autorità è cresciuta più di quanto ti è utile” ci tramanda Seneca (lettere a Lucilio 86 XI), che effettivamente ci aveva visto giusto quando disse “il suo amor di Patria fu più grande quando la lasciò che quando la difese”. Ebbene questo sembra essere il desolante quadro in un luogo, dove il tempo pare fermo a secoli e secoli fa. Quello che possiamo vedere adesso è solo una minima parte di ciò che è stato portato alla luce, senza contare ciò che è andato irrimediabilmente perso ,come già Giacomo Chianese lamentava all’epoca, e ciò che è stato portato nei vari musei delle zone circostanti. Solo quella colonna sembra volerci rammentare  la passata grandezza di questi luoghi, le grandi personalità che lo hanno attraversato nei secoli, e ne hanno descritto la bellezza la salubrità il fascino e il mistero e la suggestione che la storia porta con sé. Tanto ancora c’è da scoprire su questo luogo: se si trattasse di quella “ Literna Palus” di cui parla Stazio, e che forse ebbe la meglio nel tardo impero, o di un “balneum Veneris” ovvero un ambito luogo di Villeggiatura, svaghi e benessere. Per ora, a proposito di città, possiamo (e forse dobbiamo) tenere a mente il monito di Italo Calvino nelle sue “città invisibili”: – “ l’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”, mentre sembra voler risuonare  la famosa affermazione del Vangelo di Giovanni : “e gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce” ( Gv.3, 19).