Cambiare pelle, il gelo e una vittoria atipica

Cambiare pelle, il gelo e una vittoria atipica

Definirla una vittoria sporca è forse un modo troppo semplicistico per spiegare il lavoro del tecnico, sul collettivo, sulla mentalità e sull’essere tatticamente camaleontici

@Saverio Nappo

NAPOLI – Ho sentito freddo. Tutti hanno sentito freddo, in generale, ma quelli che erano sugli spalti del San Paolo sabato sera lo hanno sentito fino in fondo. Alla pioggia ci avrebbe pensato il copri spalti ma il gelo non si ferma, non si blocca, quantomeno in uno stadio. Ciononostante la presenza sulle gradinate è buona. Il totale appena sopra la media stagionale garantisce un buon colpo d’occhio. Se il freddo non può essere battuto, piegare la gelida mano della solitudine e del silenzio, a Napoli, al San Paolo, non è mai stato un problema. Tuttavia, ci ha pensato la tradizione post natalizia a favorire la risalita di brividi lungo la schiena dei fedeli accorsi al catino: il Napoli, dopo le festività natalizie, storicamente fa paura. Quanti punti buttati, dimenticati nel freddo del mese di gennaio che non sembra passare mai, anno dopo anno? Quanti rimpianti congelati nel dimenticatoio? Tanti, troppi. Solo una vittoria, pesante, atipica avrebbe creato una spaccatura con la tradizione e riscaldato l’anima. Si sa, quella se riscaldata bene non c’è freddo che la infastidisca realmente.

Goal vittoria all’esordio in maglia azzurra: what else?

Istintivamente, mi è venuto in mente il Napoli di Walter Mazzarri. Una squadra dura, spigolosa, assetata di risultati e mai arrendevole. Sicuramente non una squadra completa ma questa è una caratteristica tradizionale della gestione De Laurentis, la classica ciambella senza il buco. Quel Napoli, quello della stagione 2009/2010, era in grado di stare in partita ad oltranza, fino all’ultimo secondo disponibile, alla costante ricerca del goal, dei punti, del risultato. Il Napoli sarriano è un mondo totalmente differente. L’obiettivo è quello di possedere il gioco e, quindi, l’inerzia della partita, evitando i finali rocamboleschi al cardiopalma. L’epilogo di sabato sera (2-1 al 95′), contro la Doria, rappresenta un’ulteriore evoluzione del Napoli sarriano proprio per il suo essersi diversificato nella sostanza dal suo essere. Una squadra che sta imparando ad essere camaleontica, a cambiare pelle in base alle situazioni che vengono a crearsi nel rettangolo di gioco. Alfonso Fasano, su il Napolista, nella sua analisi, ci ricorda che la perfezione non esiste. Ed è vero, ma è vero anche che la perfezione può essere sfiorata, avvicinata, assaporata.

 

1 gol ogni 174′ giocati in stagione: se questo è un gregario

Riuscire a spaziare tra differenti approcci tattici con la stessa armonia con la quale il Napoli è in grado di spaziare tra le fasce, tra i reparti, tra le linee significa inequivocabilmente allargare gli orizzonti, giocare a livelli forse mai realmente raggiunti prima. Significa crescere come collettivo, vuol dire abbandonare il luogo dei timori reverenziali e il baratro della paura di sbagliare o, peggio ancora, di osare. Maurizio Sarri l’ha detto più volte, senza giri di parole: l’upgrade più determinante è quello mentale, oltre quello tattico, il quale permetterebbe al suo undici di adattarsi immediatamente alle dinamiche di gioco senza allontanarsi troppo da quella che è la sua natura, il suo DNA. La vittoria allo scadere contro la Samp di Giampaolo assume un’importanza anche maggiore, considerando la qualità del lavoro del tecnico successore di Sarri sulla panchina dell’Empoli. Dichiaratamente ammiratore del calcio secondo Sarri, Marco Gianpaolo è un perfezionista, tanto da proporre una variante tattica al confine tra il 4-3-3 e il 4-3-1-2, in fase di possesso, per poi ripiegare, nella maggior parte dei casi, in uno scudo ad albero di Natale in fase difensiva.

Abbraccio di gruppo a vittoria conquistata: unione d’intenti

Impostare questo schieramento in fase difensiva, a Napoli, al San Paolo, significa non aver paura di sbagliare, avere totale fiducia nelle proprie scelte, frutto di ore di studio passate a cercare ogni piccola falla nel sistema di gioco avversario in cui potersi insinuare, come il dubbio, come il veleno. Per circa cinquanta minuti, difatti, la Sampdoria blocca il Napoli. La sua linfa vitale appare compromessa, non fluida, congelata. La temperatura, il campo ghiacciato, il pressing alto della Doria ad intasare il centrocampo nemmeno fosse Fuorigrotta nel giorno del pallone. Non è stato semplice recuperare lo svantaggio arrivato su autorete di Hysaj. Tuttavia, i numeri non mentono. Prima dell’espulsione di Silvestre, vero detonatore della manovra blucerchiata, la percentuale di possesso palla del Napoli era clamorosamente superiore a quella dell’avversario, nonostante Jorginho e Allan – generatori di gioco del Napoli – avessero due ombre in maglia blu scuro. Con la superiorità numerica, il professore sceglie di passare al 4-2-4, inserendo Gabbiadini per Jorginho. Sarri stesso lo ha evidenziato in un’intervista post partita: la squadra non si è scomposta nonostante il baricentro spostato pesantemente in attacco, non ha perso la sua identità. Ordine e progresso, camaleontica macchina da goal, studiata, voluta, plasmata per accarezzare la perfezione irraggiungibile. Che il pareggio lo abbia segnato Gabbiadini e il vantaggio allo scadere sia arrivato su conclusione perfetta di Tonelli servito da Strinic è un chiaro segnale. Nel gelo di Fuorigrotta, il Napoli cambia pelle e se la vecchia era bella, la nuova pare essere splendida.