Le partite non durano solo quarantacinque minuti

Le partite non durano solo quarantacinque minuti

Archiviata la terza vittoria consecutiva in campionato, arriva la sosta per le Nazionali. Approfittando del weekend di stop, leggiamo qualche statistica interessante per provare a capire quello che, a questo punto della stagione, rappresenta il peggior difetto del Napoli: i black out improvvisi

@Saverio Nappo

Una coppia poco prolifica

NAPOLI – È un campionato anomalo, lo abbiamo capito da tempo. Le formazioni del lato destro della classifica non girano, non vanno, non funzionano. Mai come quest’anno, per Empoli, Palermo, Crotone e Pescara assieme hanno 63 punti, quelli totalizzati dal Napoli –, ogni punto conquistabile è un miraggio, qualcosa che si perde in quella sfocata immagine che sembra acqua, in lontananza, sull’asfalto bruciato dal Sole. Tra le quattro formazioni che giocano un ‘para-campionato’ a parte, sospeso tra la serie A e la serie B, l’Empoli è forse l’unica formazione che prova a costruire gioco. I limiti tecnici evidenti della rosa empolese sono, però, la vera condanna, a discapito della pochezza delle rose del trio di coda che è, senza dubbio, la salvezza – in tutti i sensi – dei bianco azzurri toscani. Il Carlo Castellani di Empoli, tuttavia, ha assunto, nel tempo, la fisionomia del classico tabù calcistico per il Napoli: in 10 partite giocate in riva all’Arno, l’almanacco dice 6 sconfitte per il Napoli e 4 pareggi. Brivido, pelle d’oca, presagio. Non questa volta, non più. L’imbattibilità del Castellani è caduto sotto i colpi di Lorenzo Insigne e Dries Mertens nei primi quarantacinque minuti. Ma qualcosa stava per andare storto.

Atteggiamento classico dei primi 60 minuti di gioco, prima del black out

In verità, è un déjà vu ricorrente legato al Napoli 2016/2017. Tenuta fisica, mentale e tattica sono aspetti che caratterizzano il progetto di mister Sarri, tanto che in più occasioni, come abbiamo spiegato, riportano la mente al ‘calcio totale sacchiano’. Tuttavia, talvolta si manifestano dei veri e propri buchi neri imprevedibili nell’arco dei novanta minuti, dalla durata variabile e portatori di conseguenze incalcolabili. Senza voler ritornare a partite oramai già finite su qualche scaffale impolverato di qualche archivio storico, basti pensare alle ultime uscite della squadra: Chievo-Napoli, Roma-Napoli e, se vogliamo, possiamo considerare anche i maledetti 15 minuti contro il Real Madrid nel ritorno degli ottavi di Champions League al San Paolo. Il mister più volte ha motivato questi ‘buchi neri tecnico-tattici’ associandoli alla giovanissima età di buona parte degli interpreti del suo Napoli. Superfluo dire che il mister dice il vero ma, purtroppo per lui e per le migliaia di tifosi sparsi per il globo terrestre, il problema persiste. Al netto delle soluzioni adottabili dal tecnico toscano, il peggior difetto di questo Napoli corrisponde anche al suo miglior pregio, il quale rappresenta in maniera cristallina il suo potenziale: l’età, il tempo, i margini di miglioramento.

442 esima partita in maglia azzurra per Marek Hamsik

Quelli che possiamo catalogare come ‘uomini di esperienza’ dell’undici titolare – Reina, Albiol, Hamsik, Insigne, Callejon, Mertens – hanno un’età media che si ferma a 29 anni. Per carpire lo spessore del progetto basti pensare all’età media dei 6 giocatori d’esperienza delle prime della classe di questa serie A: Juventus (Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini, Khedira, Higuain) 37 anni, Roma (Florenzi, Manolas, De Rossi, Naingollan, Totti, Dzeko) 30,5 anni, Inter (Handanovic, Miranda, Medel, Candreva, Perisic, Icardi) 29,8 anni, Lazio (Basta, Radu, Biglia, Lulic, Parolo, Immobile) 30,5 anni. Solo l’Inter, al pari del valore medio dell’intera rosa, si avvicina molto alla “quota esperienza” del Napoli. Maurizio Sarri sa che, a questo punto della stagione, il lavoro più importante e difficoltoso va fatto sulla tenuta psicologica nell’arco dei novanta minuti. Se, infatti, i sei d’esperienza, all’avvicinarsi al termine della stagione, tendono ad alzare costantemente l’asticella delle loro prestazioni, gli elementi meno esperti/più giovani inseriti a pieno titolo nella turnazione dei titolari tendono a prestazioni meno intense e più lacunose all’avvicinarsi al termine della stagione che generano i buchi neri di cui sopra. Ad esempio, come nei quarti d’ora di terrore di Verona, di Roma e di Empoli, appunto.

La fortuna del Napoli la fanno i 60-70 minuti di grande calcio totale, di pura intensità e ricerca del goal attraverso il fraseggio ininterrotto, di controllo dell’inerzia della partita attraverso il controllo del gioco. È proprio in questi spaccati di partite, dove ogni componente della macchina da goal funziona in maniera perfettamente coordinata con l’altro (86 goal in questa stagione, 88 dopo lo stesso numero di partite nella scorsa stagione), che il Napoli costruisce le sue vittorie riuscendo a legittimare la sua superiorità tecnica, al netto dei minuti di black out fisiologici. Va evidenziato il rendimento di Lorenzo Insigne: 39 partite giocate (tra Serie A, Champions League e Coppa Italia), 13 goal (un goal ogni 221 minuti), 10 assist (un assist ogni 287 minuti). La seconda doppietta consecutiva e il secondo titolo MVP del Napoli consecutivo gli sono valsi la chiamata di Ventura per la sfida di Palermo contro l’Albania (in campo ci sarò anche Hysaj) dove, con ogni probabilità, sarà titolare. Sarebbe il caso che la Società riflettesse bene sulle richieste contrattuali del 24 bianco azzurro: alzare ulteriormente il monte ingaggi della rosa e superare l’assurdità rappresentata dalla casistica – più unica che rara – dei diritti d’immagine dei giocatori nelle mani del Patròn bianco azzurro, permetterebbe al Napoli di fare l’ennesimo passo avanti nella crescita progettuale. La stessa su cui Sarri sta lavorando da due anni, oramai. La stessa che ha portato in riva al Golfo alcuni tra i prospetti più interessanti del panorama calcistico mondiale. La stessa crescita progettuale che giustifica – ancora oggi – il divario con chi, in Italia, vince da sei anni consecutivi.