Più ammore che malavita

Più ammore che malavita

Con Ammore e Malavita i Manetti Bros raccontano Napoli nella sua totalità. Come nessuno ha mai fatto in precedenza


Non c’è artista degno di questo nome che non desideri accarezzare quella tigre meravigliosamente feroce che è Napoli. Una città difficile da domare sospesa com’è tra due estremi: la cartolina e Gomorra. Esagerare con la prima aprirebbe a una narrazione ipocrita, mentre puntare tutto sul versante opposto alimenterebbe il pregiudizio. I Manetti Bros allora giocano d’azzardo. Prendono l’amore, gli donano una veste musicale e lo catapultano nella realtà gomorriana. E’ questa la sfida di Ammore e Malavita. Prendersi gioco del male mettendosi sullo stesso piano, affrontandolo a viso aperto. Perché non crediate che si tratti di un film comico. Tutt’altro. Le scene spassose e gli intermezzi musicali si inseriscono all’interno di un ambiente sanguinario: i morti ammazzati non si contano e il sangue scorre a fiumi. Ma i registi romani con questo geniale stratagemma riescono a cogliere Napoli nella sua totalità, come forse non è stato mai fatto in precedenza. Tanto è vero che per non lasciare inesplorata nessuna delle infinite possibilità narrative che offre la complessa realtà napoletana il film fonde più generi: commedia, azione, e, soprattutto, musical. E’ chiaro che questa varietà di approccio richiedeva una versatilità recitativa non indifferente. Domanda comunque abbondantemente  soddisfatta. Le prove attoriali sono state tutte di primo livello. Da parte di attori consumati, Carlo Buccirosso e Claudia Gerini, quest’ultima messa alla prova anche dal dialetto napoletano; attori chiamati a confermarsi, Giampaolo Morelli e Serena Rossi, e da cantanti prestati al cinema, Raiz e Franco Ricciardi.

Una grande Serena Rossi intona L’ammore overo, cover di What a feeling, celebre brano tratto da Flashdance

La pellicola racconta la storia di Don Vincenzo Strozzalone (Carlo Buccirosso), un boss della malavita, che, convinto dalla moglie Donna Maria (Claudia Gerini), decide di simulare la propria morte nell’intento di porre fine a quell’esistenza pericolosa fatta di fughe e nascondigli. L’attuazione del piano impone uno sforzo considerevole a tutta l’organizzazione, in particolare agli uomini di fiducia e killer di prima scelta Ciro (Giampaolo Morelli), Rosario (Raiz) e Gennaro (Franco Ricciardi). Ma a complicare le cose sarà la comparsa di Fatima (Serena Rossi), vecchia fiamma di Ciro. La scena dell’incontro tra i due ex fidanzati è un piccolo capolavoro di regia. Un’inquadratura obliqua ritrae l’infermiera che percorre il corridoio dell’ospedale ignara della sua condizione di pericolo, ma l’incrocio del suo sguardo con quello di Ciro ristabilisce l’equilibrio visivo. E non solo. Di lì a poco Fatima si mette a intonare L’ammore overo, cover di What a feeling di Irene Cara (omaggio a Flashdance) dando vita a un vero e proprio videoclip che ripercorre l’adolescenza felice dei due ragazzi fino alla deviazione di Ciro verso la carriera criminale: l’interpretazione di Serena Rossi è davvero notevole.

Così come sono notevoli le esibizioni canore cui sono chiamati tutti i personaggi, nessuno escluso. Equamente distribuite negli oltre 130 minuti di pellicola, sono lì a sottolineare tanto le scene di sangue quanto quelle di vita quotidiana. La canzone napoletana insomma è onnipresente. Nel bene e nel male. E forse è per questo che si lascia la sala con la sensazione di aver respirato più ammore che malavita.