Parlare di scudetto, parlare di evoluzione

Parlare di scudetto, parlare di evoluzione

Gli azzurri si congedano dal pubblico del San Paolo con una vittoria netta. La squadra gioca meravigliosamente, seguendo le impostazioni del suo tecnico. Si può effettivamente cominciare a parlare di scudetto? I numeri dicono di si

@Saverio Nappo

NAPOLI – In auto, imbottigliato nel traffico di Fuorigrotta, ascolto la radio per ingannare il tempo. Concentrato nel ripassare a memoria la netta vittoria del Napoli contro la Viola, una stazione radio vale l’altra. Capito – forse non a caso – su quella vicina alle vicende calcistiche bianco azzurre proprio nel momento delle interviste. Il mister, Maurizio Sarri, è il primo. Poi, in non rapida successione, Raul Albiol e Marek Hamšík. Le domande sono incalzanti. Gli ospiti in studio, collegati da Roma e Milano, cercano l’ago nel pagliaio che, nella settimana dell’ultima partita della stagione 2016/2017, colloca il Napoli al terzo posto in classifica, alle spalle della Roma e della Juventus (poi, ufficialmente Campione d’Italia, il pomeriggio seguente). Ottantatre punti – con una partita da giocare, a Marassi contro la Samp – vuol dire record assoluto di punti nell’intera storia (in serie A) della Società Sportiva Calcio Napoli. Tuttavia, il Napoli è sul gradino più basso del podio. Il copione, allora, è grossomodo lo stesso: «cosa manca ancora?», «è sufficiente ciò che state facendo?», «proverete a rinforzarvi?», «in quale reparto?». Tutto quel “parlare tanto per” comincia a stufarmi.

Mertens è a solo un goal da Dzeko, attuale capocannoniere

Ciononostante, ascolto attento con una crescente sensazione di fastidio. Mi aspetto una reazione colorita del mister, magari prevista o indotta. Purtroppo per lo share, il sunto delle reazioni ottenute è tutto nelle parole di Sarri: «avete una facoltà di farmi arrabbiare fuori dal normale: uno fa il record di punti nella storia del Napoli e la prima domanda che gli fanno è ‘cosa manca’?». Guardo lo schermetto della radio, poi gli abitacoli delle auto accanto alla mia, bloccate nel traffico paralizzato. Silenzio. Poi sorrido. Sorride il signore distinto di mezza età alla mia sinistra. Sorride anche suo figlio. Sorridono i ragazzi nell’auto sgangherata alla mia destra. Non ricordo l’ultima volta che c’è stata questa religiosa attenzione verso le parole di un allenatore del Napoli. Semplicemente, non posso ricordarlo perché non c’è mai stata un’attenzione del genere. Ovunque mi trovi, indipendentemente dalla partita che si è appena giocato o si sta per giocare, tutti sembrano fermarsi quando a parlare ai microfoni c’è Maurizio Sarri. È qualcosa di confortante, di aggregativo. È come se ci fosse un rispetto tipico dei rapporti studente-professore o figlio-genitore.

Mertens è in uno stato di forma superlativo. Riesce a immaginare la giocata prima ancora di ricevere il pallone, riuscendo contemporaneamente a creare spazio per la manovra, attirare su di se gli avversari e creare i presupposti per poterli superare. La sensibilità del piede destro gli permette di raggiungere un’accuratezza, sia nei passaggi che nei tiri, impressionante. Parlare di Mertens vuol dire parlare di un attaccante superlativo

Il Napoli ha appena travolto la Fiorentina grazie all’ennesima doppietta di Dries Mertens (27 reti in campionato, 33 in stagione), un goal di Lorenzo Insigne (17 goal in stagione, il terzo nelle ultime tre partite) e al goal di Kalidou Koulibaly (secondo in campionato) ma tutti quelli imprigionati nelle loro auto ascoltano le parole del mister come fossero Vangelo. Tutti si chiedo come sia possibile che nonostante gli ospiti in collegamento da Roma e Milano abbiano la possibilità di chiedere a Maurizio Sarri qualsiasi cosa finiscano per fargli sempre la stessa domanda: «cosa manca?». Eppure questo Napoli è il frutto di un lavoro chiaro ed inequivocabile, interessante, sul quale è possibile aprire dibattiti di natura tattica che potrebbero fare “cultura calcistica”. Ai più continua – chiaramente – a sfuggire la parola chiave nel calcio moderno italiano:“evoluzione”. Non ne parla nessuno in modo esplicito ma, trattandosi di calcio, basta osservare con attenzione. Lo stesso Massimiliano Allegri ha fatto dell’evoluzione il vero asso nella manica della sua squadra, grazie al quale sta ottenendo risultati impressionanti. L’evoluzione è l’ossessione – giustissima – della modernità, è il futuro.

Eccellente stagione per Koulibaly: il numero di errori è in vertiginoso calo

Credo sia per questo motivo che il mister vada in escandescenza ogni qual volta gli venga chiesto «cosa manca?». Niente. Non manca niente. L’evoluzione è un lavoro lento, programmato, a tappe. Ogni step è fondamentale per il raggiungimento di quello successivo ed è intrinseco di un punto d’inizio e fine, tra i quali non manca niente. Step dopo step, la squadra cresce, o meglio, evolve. Diventando una squadra nuova, diversa, migliore di quella che era nello step precedente. Questo Napoli ha migliorato quello dello scorso anno, il quale aveva migliorato quello della stagione precedente. E non mi riferisco solo alla posizione in classifica. Penso alla consapevolezza, alla lucidità nei momenti chiave, alla capacità di imporre il proprio gioco, alla qualità nella manovra, alla fluidità del movimento delle linee nelle diverse fasi di gioco. Ascolto l’intervista che intanto si avvia alla conclusione, sacrificata all’intoccabilità degli spazi pubblicitari. Gli viene chiesto cosa farà quando Arek Milik sarà di nuovo al 100%: «vedete, noi stiamo lavorando affinché si possa passare da un modulo all’altro, in base alle situazioni di gioco. Quindi, non escludo che possa schierare contemporaneamente sia Mertens che Milik». Avete presente l’intuizione “Mandžukić-esterno d’attacco” o Dani Alves esterno alto contro il Barcellona? Parlare di scudetto vuol dire parlare di evoluzione.