Blade Runner 2049: è decisiva la fotografia

Blade Runner 2049: è decisiva la fotografia

Il sequel del capolavoro di Ridley Scott supera l’esame grazie a una splendida fotografia e alla grande interpretazione di Ryan Gosling


Non si può certo dire che a Denis Villeneuve sia mancato il coraggio. Dirigere il sequel di un capolavoro della storia del cinema esponeva a rischi non indifferenti, su tutti quello di dover dimostrare scena dopo scena di essere all’altezza dell’illustre predecessore. Senza contare l’effetto nostalgia che – mai come in questo caso giustamente – colloca i cosiddetti cult movie in una dimensione elitaria. Inavvicinabile per chiunque. Ma provando, non senza sforzo, a smarcarci dalle aspettative legate a un titolo così ingombrante, ci sentiamo di dire che Blade Runner 2049 è un bel film. E che come tutte le opere non ascrivibili alla voce “capolavori” consta di pregi e difetti. Tra i pregi è da annoverare la fotografia di Roger Deakins. Il collezionista di nomination all’Oscar, ad oggi ben tredici tra cui spiccano quelle per Le ali della libertà e Non è un paese per vecchi, ha tutte le carte in regola per provarci anche stavolta. E magari riuscire ad acquisire la tanto agognata statuetta. L’impatto visivo infatti è davvero notevole. E’ di certo l’elemento decisivo della pellicola, e che ne sana i difetti, ovvero la farraginosità della trama, la debolezza dei dialoghi e l’eccessiva durata. 163 minuti che hanno appunto l’effetto di imprimere nella mente dello spettatore immagini dense tanto di suggestioni quanto di interrogativi esistenziali. Aspetti, questi, assolutamente degni del capolavoro di Ridley Scott (che comunque ha preso parte alla produzione dell’opera) del 1982.

L’agente K (Ryan Gosling) che vaga per il deserto di Las Vegas sembra interpretare i nostri interrogativi sul senso della vita, a cominciare dal “chi siamo?”

Siamo nella Los Angeles del 2049. Il protagonista di questo noir fantascientifico è l’agente K, un replicante di ultima generazione interpretato da Ryan Gosling, la cui magistrale interpretazione è un altro punto di forza del film. L’agente K ha il compito di rintracciare ed eliminare i vecchi replicanti Nexus ribelli che hanno lasciato le colonie dell’extra-mondo per far ritorno a Los Angeles, dove erano stati fabbricati. Durante un’operazione di ritiro fa una scoperta sensazionale. Rinviene in una scatola sepolta sotto un albero morto lo scheletro di un replicante Nexus femmina. Dall’analisi di questi resti emerge che i replicanti sono in grado di riprodursi. In un mondo improntato all’ordine e alla netta separazione tra umani e replicanti, questa scoperta rappresenta la più grave delle minacce. K riceverà quindi l’ordine di rintracciare il replicante “figlio” e di ritirarlo. Ma in qualche modo si ribellerà alle direttive impartitegli mettendosi ad indagare in proprio.

Le sue indagini lo porteranno sulle tracce di Deckard (Harrison Ford), il blade runner di cui non si avevano più notizie dal 2019. L’incontro tra i due, che avviene nella desertica e decadente Las Vegas, è il momento più emozionante, quello in cui si rivela il film e il punto di massima intesa tra regia e fotografia. Villeneuve e Deakins sembrano suggerirci visivamente che il mondo è in disfacimento e allo stesso tempo in espansione. Perché quelle immagini sono talmente rapinose da offrire l’illusione che da qualche parte ci sia una speranza. Se per gli esseri umani o per i replicanti non è dato saperlo. Ma forse non fa alcuna differenza.