La storia di Mina, la capotreno-infermiera giuglianese tornata in corsia contro il Covid

La storia di Mina, la capotreno-infermiera giuglianese tornata in corsia contro il Covid

Nei momenti più difficile dell’epidemia di Covid-19, Mina ha sentito il dovere di rispondere a quella chiamata scattata per tutto il personale sanitario


MILANO\GIUGLIANO – Mina Fammiano, originaria di Giugliano, ha deciso di lasciare la divisa nell’armadio da capotreno per indossare quella da infermiera. Una scelta in piena pandemia e per 3 mesi da aprile a luglio 2020. Forte di quell’esperienza tra malati gravissimi e anziani soli è tornata in carrozza con uno sguardo nuovo. La giovane, 27 anni da compiere tra pochi giorni, è dipendente della Trenord dal 2018 – in un’intervista al Corriere di Milano –  ha dichiarato: “Ho anche una laurea in Scienze infermieristiche. Sono stata in reparto, poi ho scelto di seguire il corso per diventare capotreno”.

Nei momenti più difficile dell’epidemia di Covid-19, Mina ha sentito il dovere di rispondere a quella chiamata scattata per tutto il personale sanitario. Così ha partecipato al bando regionale. “Tutti erano spaventati, c’era un forte bisogno. Infatti nel giro di tre giorni mi hanno contattata”. Mina ha reso partecipi i suoi colleghi della scelta fatta e come da li stessa confermato i parei sono stati abbastanza discordanti: ” C’è chi mi ha incoraggiato, dicendomi che era fiero di me. Altri invece avevano paura. In quei mesi si sapeva molto poco del coronavirus”. Intanto prima di entrare in reparto ha chiesto e ottenuto dall’azienda ferroviaria un congedo non retribuito.

LA VITA IN REPARTO

Mina ha iniziato i suoi turni in un reparto di terapia intensiva lombardo. “Quasi tutti i pazienti erano intubati — ricorda —, c’era una quantità enorme di lavoro: controllare la respirazione, verificare i livelli dei farmaci. Non è stato facile per me, che da qualche tempo non mettevo piede in ospedale, ma neppure per i colleghi più esperti. A loro va tutta la mia ammirazione, danno l’anima”. Ciascuno doveva prendersi cura di tre, anche quattro malati, capire il perché di ogni alert lanciato dai monitor e dalle apparecchiature. Il tutto indossando le bardature che ormai conosciamo. “Anche a casa mi sembrava di sentire nella testa tutti quei bip bip”. Quando i ricoveri, ad inizio maggio, sono cominciati a calare le è stato cambiato ruolo, mina viene trasferita in un reparto dedicato agli anziani positivi al Covid che non potevano rimanere nelle Rsa. “Lì ho visto la solitudine. Dovevamo fare loro compagnia oltre che assisterli e curarli. Noi infermieri abbiamo fatto da tramite con le famiglie, è stato molto bello. Ho sentito un forte amore da parte loro”.

Successivamente è stta spostata in Pronto Soccorso  a occuparsi di emergenze di qualsiasi tipo. “In questo caso l’esperienza da capotreno è stata un bagaglio prezioso — spiega —. Vedi di tutto, devi pensare in fretta e bene e poi agire”. Ma è anche questione di intesa, di sguardi da interpretare. “Nel mio lavoro in ferrovia ho imparato a capire quando una persona non ti sta dicendo tutto, magari per paura o per imbarazzo”. La stessa abilità le è servita, tra le altre cose, per cogliere il messaggio lanciato da una donna solo con gli occhi: non si sentiva libera di parlare di fronte al marito.  L’impegno durante i primi mesi dell’emergenza Covid le ha regalato anche una nuova prospettiva sul ruolo di capotreno. “Ci vedono spesso come i “cattivi” che controllano i biglietti. Ma c’è anche il compito di rendere piacevole il viaggio per i passeggeri, di aiutarli”. Di fronte alle difficoltà, Mina ha imparato a non farsi abbattere. “Guardo le cose da un altro punto di vista. A volte la quotidianità con i suoi piccoli problemi tende a infastidirti. Ora cerco di superare questo atteggiamento negativo”. Solo alla fine dei tre mesi tra letti e corsie ha raccontato alla famiglia dell’esperienza in ospedale. E a chi le chiede, ora, se ha intenzione di abbandonare i treni per il camice da infermiera risponde con sicurezza: “Non farei a cambio. La biologia mi ha sempre appassionato, anche l’infermieristica e stimo moltissimo i colleghi, devo molto a tutti quelli che ho incontrato in quei tre mesi. Ma la ferrovia è dinamica come me, mi piace tanto”. Un fischio, tutti a bordo. E si riparte. Qualche volta però con uno spirito diverso e anche il Paese fuori da finestrino sembra non essere più uguale.