Perché castrare una passione?

Perché castrare una passione?

Ieri, allo Stadio Maradona, è stato vietato l’ingresso di bandiere, tamburi e megafoni, mentre nel settore ospiti entravano petardi e fumogeni.


Sembra una di quelle stagioni destinate ad entrare nella storia. Una campionato, fin qui, dominato. Una Champions, da protagonista, con un quarto di finale ad un palmo dal naso da conquistare.

Eppure a Napoli siamo i numeri uno a rendere tutto meno bello, meno entusiasmante. Ieri, allo Stadio Maradona, è stato vietato l’ingresso di bandiere, tamburi e megafoni, motivo che ha portato alla protesta del tifo organizzato.

Tutto ciò mentre nel settore ospiti si assisteva a l’accensione di fumogeni e all’esplosione di petardi.

Una volta era il regolamento d’uso, poi l’obbligo di fedelity card per l’acquisto dei biglietti contro la Lazio, ora il divieto di tutto ciò che serve per creare spettacolo.

Il risultato finale è sotto gli occhi di tutti: quest’anno al Maradona si sentono i tifosi ospiti cantare, tra il silenzio dei supporters partenopei che ogni tanto fanno partire sporadici cori.

Il mondo ultrà lo si può amare, o meno. Si può essere d’accordo, oppure no, con le loro idee, ma una cosa è certa: senza di loro lo spettacolo sugli spalti non esiste.

Il Napoli si avvia a raggiungere un qualcosa di storico. Un trofeo che manca da trentatré anni e lo sta facendo in un teatro pieno, ma silenzioso.

Perché castrare la passione? Una risposta, purtroppo, non c’è. Dovrebbe darla chi decide ciò.

Come risolvere tutto questo? Anche qui non sembra esserci risposta. Dovrebbe darla, forse, chi sta regalando un sogno a questa città: la società.

Per ora non possiamo che sperare che tutto rientri. Non possiamo che sognare uno stadio pieno, ma rumoroso.

Perché un sogno, senza il dodicesimo uomo in campo, non ha lo stesso sapore.